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Salem – 1×01 – The Vow

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Le streghe vanno forti, da un paio d’anni a questa parte. Sono tornate cool all’improvviso, in coda ad una tendenza che, già da un po’, ha visto il ritorno del sovrannaturale come soggetto favorito di narrazione su ogni possibile tipo di media, dalla televisione alla letteratura passando per il cinema e i fumetti. Da principio erano i vampiri, siamo passati per i licantropi, perfino per le banshee!, poi ci siamo spostati verso i superpoteri – ed a quel punto il passaggio verso la magia e la stregoneria è stato facilissimo, e velocissimo, purtroppo con risultati alterni. Basta pensare al fallimentare The Secret Circle, alle solo parzialmente convincenti vicissitudini delle streghe di Ryan Murphy e Brad Falchuck in Coven o alle tutto sommato innocue, soap-operistiche streghe di Witches of East End.

Le tre serie citate hanno qualcosa in comune, pur proponendosi a tre tipi di pubblico fondamentalmente agli antipodi gli uni rispetto agli altri (ragazzine, adolescenti/ragazzi, donne), che sarebbe il tentativo di dare nuovo interesse al genere avvolgendolo in una patina di glamour che prima non aveva. L’iconografia delle streghe si è evoluta in maniera radicale, negli ultimi anni, e la classica rappresentazione che le voleva vecchie, luride e di certo non sessualmente invitanti è andata mutando in maniera molto profonda, al punto che oggi le streghe sono in genere bellissime, potentissime, ammaliatrici, tutti le vogliono, tutti le desiderano, tutti le trovano sexy.

In questo passaggio da un estremo all’altro, Salem si incastra come un prodotto anomalo, che si rifiuta di rinunciare anche solo ad una singola componente dell’immaginario legato alle streghe, sia esso di retaggio più antico o più vicino all’interpretazione moderna.

E colpisce in pieno.

La storia, ambientata a Salem – naturalmente – nel Diciassettesimo secolo, si concentra su Mary Sibley e John Alden, coppia di ex amanti separati da una guerra che, nelle intenzioni, doveva durare pochissimo, e che invece si è protratta più a lungo del previsto, cambiando per sempre, radicalmente, le loro vite. Tornato a Salem dopo avere passato gli ultimi anni in prigionia, John Alden trova un villaggio sconvolto dalla paura del maligno e delle streghe, turbato da superstizioni di ogni genere, superstizioni alle quali John, ovviamente, da scettico, non crede.

Sarà costretto a ricredersi, però, perché lo show è fin da subito chiarissimo nei propri intenti: non è un thriller, per quanto attinga da quanto realmente accaduto non è un adattamento storicamente fedele dei veri processi di Salem (una delle pagine più nere della Storia americana), non è, insomma, il tipico adattamento che mette subito in chiaro che il demonio non è reale e si tratta solo di isteria collettiva: in Salem il demonio esiste, le streghe pure, e lo show lo mostra – letteralmente – quasi dal primo fotogramma, regolando da subito il tono della narrazione più sull’horror che su qualsiasi altro genere narrativo.

Il punto di forza di Salem è proprio quello di riuscire in maniera molto convincente a giocare a metà fra l’orrore e la sensualità, senza mai sbilanciarsi fra l’una e l’altra caratteristica ed offrendo uno spettacolo completo ed estremamente soddisfacente. La Mary Sibley di Janet Montgomery è bellissima, magnetica, sensuale, ma crudele e assetata di potere e di sangue, agitata da passioni che vanno ben oltre l’amore per John, e che la rendono un personaggio complesso, col quale fin da subito è facilissimo connettere, del quale si seguono le vicissitudini con empatia reale. È protagonista di scene parecchio disturbanti, scene che, peraltro, sono numerose nei cinquanta minuti che compongono il pilot, e che mostrano un sapiente uso dei silenzi, delle attese e dei cambiamenti improvvisi e repentini da parte sia degli sceneggiatori che del regista.

La messa in scena è convincente, specialmente nell’uso della fotografia (gelida e bianchissima nella luce diurna, molto più calda e sensuale quando le scene sono ambientate in notturna), e mostra con chiarezza che la WGN America non ha badato a spese, per questa sua prima creatura seriale. I risultati ci sono, e si vedono chiaramente. I cinquanta minuti del pilot scorrono velocissimi, intriganti e affascinanti, e il desiderio di poter mettere le mani sul secondo episodio, subito finito il primo, è palpabile.

Resta solo da sperare che l’atmosfera regga, così come la qualità della narrazione, e che l’approfondimento dei personaggi non fallisca nel corso dei dodici episodi che seguiranno. Ma, viste le premesse, mi sento di esprimere un voto di fiducia.

Fuck Yeah

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